Demotivati o bloccati. Apatici o insicuri. Indifferenti o frustrati.
Due facce dei giovani nativi della Generazione Z. Quella generazione di persone nate tra il 1997 e il 2002 e molto spesso associata a termini come fannulloni, superficiali e viziati ma anche ansiosi, insicuri e disillusi. Una contraddizione stridente; soggetto identico, aggettivi contrapposti.
I dati pubblicati negli ultimi mesi non sono rassicuranti: un giovane su tre interrompe in Ticino il rapporto di lavoro con l’azienda formatrice, le ospedalizzazioni per disturbi psichici e comportamentali aumentate del 26% nella fascia 10-24 in Svizzera, un deterioramene significativo della soddisfazione per la loro vita da parte dei giovani dai 14 ai 19 anni. Un disagio reale e collettivo che non possiamo più sottovalutare classificandolo nella categoria “incontentabili”.
I nativi della GenZ rappresentano una grande fetta della nostra società e sono la forza lavoro di domani. Sempre più spesso però ci imbattiamo in giovani che alla comparsa delle prime difficoltà crollano; una fragilità evidente che nasce da una profonda insicurezza celata dietro a un’apparente arroganza.
Se pensiamo al mondo lavorativo ci accorgiamo che attualmente è costituito da persone di età molto distanti tra loro; possiamo trovare seduti allo stesso tavolo ventenni e over 60; quattro generazioni che condividono lo stesso posto di lavoro. Una condizione straordinaria che vede i baby boomer (over 60) alla guida con anni di esperienza e la generazione Z (ventenni) che muove i suoi primi passi nel mondo del lavoro. Un divario netto che si traduce spesso in difficoltà di collaborazione, nella nascita di conflitti e soprattutto nella presenza di pregiudizi rapportati al comportamento dei giovani.
Non possiamo negarlo, un problema esiste ma non possiamo nemmeno archiviarlo con uno sbrigativo e banale “non sono più i giovani di una volta”. Lo dobbiamo al futuro economico e soprattutto a loro, ai giovani.
Sono giovani talentuosi ma con una scarsa autostima scaturita dall’incessante confronto con gli altri. Cresciuti in una società dove la pressione esterna sulle prestazioni è costante; pubblicazioni delle pagelle scolastiche sulle piattaforme social da parte dei genitori e premiazioni delle migliori licenze della scuola dell’obbligo sono all’ordine del giorno.
È più che naturale per un genitore volere il meglio per il proprio figlio o la propria figlia, ma il meglio non passa dal pericoloso confronto con gli altri. Una vera e propria competizione fatta di aspettative che aumentano parallelamente all’avanzare dell’età e che quando i risultati fanno fatica ad arrivare va ad influire sull’autostima del giovane.
Negli ultimi anni assistiamo a un aumento dei disturbi specifici di apprendimento: dislessia, discalculia, disgrafia, iperattività e inattenzione. Disturbi scientificamente diagnosticati ma che alle volte fanno sentire il giovane inadatto già prima di provarci. Giovani che rinunciano alla professione dei loro sogni perché un medico ha diagnosticato un disturbo dell’attenzione e per questo gettano direttamente la spugna. Il tentativo è stato sostituito dalla scusante distruggendo la possibilità di dimostrare a sé stessi il proprio valore.
Ai giovani è stata preclusa la possibilità di sperimentare e di sbagliare facendoli così sentire continuamente inadatti. Sbagliare fortifica e in un contesto così instabile e complesso è fondamentale poter coltivare la propria vulnerabilità, potersi esprimere nella propria autenticità con la consapevolezza dei propri limiti. Agli adulti il colpito d’insegnare ai giovani a cadere e aiutarli a sollevarsi, ai giovani l’impegno di mettersi in gioco.
È un lavoro di squadra che implica coraggio, sacrificio e responsabilità. Sicuramente è più facile per tutti, giovani e adulti, nascondersi dietro scusanti approvate e sdoganate dalla società ma poi non possiamo attenderci risultati differenti dall’attuale situazione.
Il cambiamento spaventa si sa ma è più che mai necessario se vogliamo creare e offrire delle reali opportunità ai giovani. Giovani che si sentono persi e che ricercano sempre più negli adulti l’apprezzamento al di là dei risultati ottenuti. Abbandonare il nostro punto di vista è il primo passo verso il cambiamento.
Accompagnarli nella pianificazione del loro futuro, educarli alle regole del mondo del lavoro, sostenerli nella ricerca di soluzioni, credere nelle loro capacità, valorizzare i loro punti forti, sviluppare il loro potenziale, dare a loro la nostra fiducia è il passo successivo, ma prima dobbiamo essere capaci di abbandonare lo scetticismo verso una generazione che è all’opposto delle precedenti. Siamo diversi ma non per questo migliori o peggiori degli altri; la diversità è un’occasione di crescita, per tutti.
La fiducia genera fiducia.